Abbiamo conosciuto Rafael Luna, bella persona con una missione da laico. Ci ha accompagnato alla comunità raccontandoci un po' di cose. Lungo la carretera (peggio che in Africa come strada, 37 km in circa tre ore) ci siamo fermati a visitare un centro di salute per riconoscere la malaria e malattie della pelle a cui fanno capo 50 comunità, ma effettivamente in 17 tra cui Las Conchas. Rafael ci ha detto che nella sua comunità vivono 40 famiglie, le altre comunita' sono più grandi, però a Las Conchas sta sorgendo un Centro di Formazione: un complesso con due o tre strutture una scuola e tre centri professsionali(cucito, panificazione, macchine da scrivere a mano Olivetti ) ed anche un centro computer.
La scuola prevede tutte le classi della primaria che inizia a sette anni, non esiste la materna: le bimbe imparano i lavori di casa piccolissime e i maschietti imparano i lavori del papa' seguendoli nei campi anche così piccolini!
Le classi sono numerose però occorre considerare che gli alunnni vengono da cinquanta comunità diverse, ciò significa che nella loro comunità soltanto loro possono venire a scuola a Las Conchas, unica loro occasione (uno o due alfabetizzati ogni comunità).
Quelli che vengono da molto lontano`si fermano a dormire nel dormitorio.
Non c'è luce se non nei due edifici di pubblica utilità e ricavano quel po' di energia da pannelli solari regalati da un'Ong (Energia sin fronteras).
C'è anche il problema dell'acqua che ricavano dalla pioggia e da un rio lì vicino con gli inevitabili rischi per la salute.
La cosa che più ci ha colpito è che non hanno MAI visto nessun medico in questo emarginato luogo, solo un'infermiera ogni 20-30 giorni per portare un minimo di medicine quasi mai sufficienti, molto misurate, perfino contando le siringhe per le vacinazioni dei bambini, senza alcuna margine per gli imprevisti.
Poco tempo fa è morta una giovane mamma solo per non aver espulso la placenta; unica assistenza l'esperienza delle donne, ma spesso i parti hanno delle complicazioni, con inevitabile morte di giovani donne.
Volendo rispettare le loro richieste come sempre e non imporre noi i progetti, durante la riunione della comunità è emersa proprio da una donna la priorità di un centro salute che offra tra i primi servizi un laboratorio di analisi del sangue.
Quando rientreremo in Italia troveremo ad attenderci il progetto che Rafael avrà cura di mandarci e noi lo discuteremo ma faremo partire subito la costruzione, perche' e' INDISPENSABILE.
Incontro con Aldo Lo Curto
Incontro con Aldo Lo Curto (sabato 23/01/2010)
Sabato 23 gennaio 2010, presso la sede dell’Associazione “Le case degli Angeli di Daniele”, alla presenza della Presidente Nedda Alberghini Po e di alcuni membri, si è svolto un incontro con Aldo Lo Curto.
Medico di base per sei mesi all’anno (di “pazienti molto pazienti” come egli stesso scherzosamente dice), nella ricca provincia di Como e medico itinerante nelle più remote aree del mondo per i restanti sei mesi, la sua vicenda umana colpisce profondamente.
Con la passione di chi crede in una missione, la professione medica lo ha portato in tutti i continenti del Mondo a curare le popolazioni bisognose: dagli Indios della foresta Amazzonica, agli sperduti villaggi in Africa, in Asia e perfino nelle isole della Micronesia.
I progetti che lo hanno impegnato maggiormente sono stati in Brasile, India e negli ultimi anni anche in Mongolia e Isole Salomon.
La sua grande esperienza umana e professionale trasuda dai sui appassionati racconti, esperienze di vita vissuta a stretto contatto genti lontanissime per cultura e lingua.
Nei suoi racconti non c’è pietà o compassione, ma grande rispetto per tradizioni, usi e credenze delle popolazioni alle quali, con grande modestia, porta la sua professionalità di medico.
Non vi è nulla di romantico nel vivere a “contatto con la natura”, siano foreste o steppe desolate, se un taglio infetto, una gastrite, una diarrea, un mal di denti, un’appendicite possono causare atroci sofferenze se non addirittura la morte.
Se per noi occidentali è automatico rivolgerci al medico o al farmacista in caso di bisogno, non è purtroppo così nella maggior parte del mondo dove le primarie figure di riferimento sono sciamani, curandere e simili.
Conoscere l’antropologia delle popolazioni, consente al medico di svolgere la propria missione senza alterare gli equilibri della società e per questo motivo l’approccio iniziale deve avvenire nel pieno rispetto della struttura sociale e religiosa. Inoltre, in quanto medico, è fondamentale conoscere anche come in queste popolazioni viene vissuto il rapporto con la morte.
Più di una volta dai racconti di Aldo Lo Curto emerge l’importanza di conoscere a quali pericoli può portare un approccio sbagliato. Per esempio, nelle Isole Salomone ogni intervento su un malato che si concluda con la morte (come potrebbe essere ad esempio la somministrazione di un farmaco, oppure l’estrema unzione), è inteso dai locali come la causa della morte stessa (anche se effettivamente non lo è), e potrebbe venire punito con il taglio della testa.
La conoscenza e il rispetto sono essenziali per non essere considerati dei maldestri ciarlatani mettendo a rischio la propria vita: nelle Isole Salomone meglio dimostrare di fare il possibile trasportando il malato al più vicino ospedale piuttosto che intervenire sul corpo del paziente; in Amazzonia l’approccio alle genti di un villaggio che non ha mai visto un medico, deve avvenire gradualmente, accampandosi per esempio al di fuori dell’area delle capanne ed aspettare che siano gli abitanti stessi ad interpellarti. Di solito i primi sono i bambini che spinti dalla curiosità, si avvicinano per poi riportare agli adulti del villaggio le informazioni sul nuovo venuto. La fase successiva è quella di coinvolgere e lavorare a fianco dello sciamano del villaggio e assieme portare le cure necessarie. In Mongolia non bisogna indugiare sulla porta della yurta poiché porta male, il visitatore deve entrare, senza annunciarsi, e camminare immediatamente a sinistra dell’ingresso e solo successivamente stabilire il contatto con gli abitanti della tenda.
Un grande distacco emotivo deve caratterizzare chi sceglie di dedicarsi ai più bisognosi in condizioni così estreme, a chi non può contare su quei medicinali che in occidente sono alla portata di tutti e dove la vita umana ha un valore relativo.
Può capitare di trovarsi a dover curare due neonati ma di disporre di un’unica dose di farmaco: chi salvare? Per quanto dura da accettare, la realtà è che solo uno potrà sopravvivere e la decisione viene presa al momento in base a fattori da valutare di volta in volta.
Aldo Lo Curto racconta, non senza amarezza, di essersi trovato in una simile situazione.
Ascoltiamolo: “Ho scelto putroppo di far sopravvivere il bambino che aveva meno fratellini, affidandolo comunque alle cure di un infermiere che gli ha sommnistrato il farmaco ogni giorno, fino a salvarlo; ma non ho mai lasciato la mamma con il bambino che sarebbe morto, assistendolo lo stesso, accarezzandolo, pregando insieme allo sciamano, dandogli delle medicine "placebo", che purtroppo sapevo inefficaci: il bambino e' morto, ma io l'ho curato fino all'ultimo respiro, senza mai abbandonarlo, con grande conforto per la madre”.
La sua attività negli anni si è diversificata per portare un aiuto intelligente a chi ha bisogno. Sulla scia della esperienza del grande economista e premio Nobel Muhammad Yunus, Aldo Lo Curto ha avviato in Tamil Nadu dei progetti di microcredito rivolto alle donne.
In Africa e in Mongolia ha seguito poi progetti nelle carceri maschili e femminili.
E’ infine ormai già definitivo un volume destinato alla divulgazione di rimedi basati sulla conoscenza tradizionale di piante e animali, stampato in diverse lingue, rivolto agli abitanti della Mongolia e delle Isole Salomone.
Aspetteremo il prossimo incontro con Aldo Lo Curto per conoscere i nuovi progetti che impegneranno questo straordinario medico itinerante.
Sabato 23 gennaio 2010, presso la sede dell’Associazione “Le case degli Angeli di Daniele”, alla presenza della Presidente Nedda Alberghini Po e di alcuni membri, si è svolto un incontro con Aldo Lo Curto.
Medico di base per sei mesi all’anno (di “pazienti molto pazienti” come egli stesso scherzosamente dice), nella ricca provincia di Como e medico itinerante nelle più remote aree del mondo per i restanti sei mesi, la sua vicenda umana colpisce profondamente.
Con la passione di chi crede in una missione, la professione medica lo ha portato in tutti i continenti del Mondo a curare le popolazioni bisognose: dagli Indios della foresta Amazzonica, agli sperduti villaggi in Africa, in Asia e perfino nelle isole della Micronesia.
I progetti che lo hanno impegnato maggiormente sono stati in Brasile, India e negli ultimi anni anche in Mongolia e Isole Salomon.
La sua grande esperienza umana e professionale trasuda dai sui appassionati racconti, esperienze di vita vissuta a stretto contatto genti lontanissime per cultura e lingua.
Nei suoi racconti non c’è pietà o compassione, ma grande rispetto per tradizioni, usi e credenze delle popolazioni alle quali, con grande modestia, porta la sua professionalità di medico.
Non vi è nulla di romantico nel vivere a “contatto con la natura”, siano foreste o steppe desolate, se un taglio infetto, una gastrite, una diarrea, un mal di denti, un’appendicite possono causare atroci sofferenze se non addirittura la morte.
Se per noi occidentali è automatico rivolgerci al medico o al farmacista in caso di bisogno, non è purtroppo così nella maggior parte del mondo dove le primarie figure di riferimento sono sciamani, curandere e simili.
Conoscere l’antropologia delle popolazioni, consente al medico di svolgere la propria missione senza alterare gli equilibri della società e per questo motivo l’approccio iniziale deve avvenire nel pieno rispetto della struttura sociale e religiosa. Inoltre, in quanto medico, è fondamentale conoscere anche come in queste popolazioni viene vissuto il rapporto con la morte.
Più di una volta dai racconti di Aldo Lo Curto emerge l’importanza di conoscere a quali pericoli può portare un approccio sbagliato. Per esempio, nelle Isole Salomone ogni intervento su un malato che si concluda con la morte (come potrebbe essere ad esempio la somministrazione di un farmaco, oppure l’estrema unzione), è inteso dai locali come la causa della morte stessa (anche se effettivamente non lo è), e potrebbe venire punito con il taglio della testa.
La conoscenza e il rispetto sono essenziali per non essere considerati dei maldestri ciarlatani mettendo a rischio la propria vita: nelle Isole Salomone meglio dimostrare di fare il possibile trasportando il malato al più vicino ospedale piuttosto che intervenire sul corpo del paziente; in Amazzonia l’approccio alle genti di un villaggio che non ha mai visto un medico, deve avvenire gradualmente, accampandosi per esempio al di fuori dell’area delle capanne ed aspettare che siano gli abitanti stessi ad interpellarti. Di solito i primi sono i bambini che spinti dalla curiosità, si avvicinano per poi riportare agli adulti del villaggio le informazioni sul nuovo venuto. La fase successiva è quella di coinvolgere e lavorare a fianco dello sciamano del villaggio e assieme portare le cure necessarie. In Mongolia non bisogna indugiare sulla porta della yurta poiché porta male, il visitatore deve entrare, senza annunciarsi, e camminare immediatamente a sinistra dell’ingresso e solo successivamente stabilire il contatto con gli abitanti della tenda.
Un grande distacco emotivo deve caratterizzare chi sceglie di dedicarsi ai più bisognosi in condizioni così estreme, a chi non può contare su quei medicinali che in occidente sono alla portata di tutti e dove la vita umana ha un valore relativo.
Può capitare di trovarsi a dover curare due neonati ma di disporre di un’unica dose di farmaco: chi salvare? Per quanto dura da accettare, la realtà è che solo uno potrà sopravvivere e la decisione viene presa al momento in base a fattori da valutare di volta in volta.
Aldo Lo Curto racconta, non senza amarezza, di essersi trovato in una simile situazione.
Ascoltiamolo: “Ho scelto putroppo di far sopravvivere il bambino che aveva meno fratellini, affidandolo comunque alle cure di un infermiere che gli ha sommnistrato il farmaco ogni giorno, fino a salvarlo; ma non ho mai lasciato la mamma con il bambino che sarebbe morto, assistendolo lo stesso, accarezzandolo, pregando insieme allo sciamano, dandogli delle medicine "placebo", che purtroppo sapevo inefficaci: il bambino e' morto, ma io l'ho curato fino all'ultimo respiro, senza mai abbandonarlo, con grande conforto per la madre”.
La sua attività negli anni si è diversificata per portare un aiuto intelligente a chi ha bisogno. Sulla scia della esperienza del grande economista e premio Nobel Muhammad Yunus, Aldo Lo Curto ha avviato in Tamil Nadu dei progetti di microcredito rivolto alle donne.
In Africa e in Mongolia ha seguito poi progetti nelle carceri maschili e femminili.
E’ infine ormai già definitivo un volume destinato alla divulgazione di rimedi basati sulla conoscenza tradizionale di piante e animali, stampato in diverse lingue, rivolto agli abitanti della Mongolia e delle Isole Salomone.
Aspetteremo il prossimo incontro con Aldo Lo Curto per conoscere i nuovi progetti che impegneranno questo straordinario medico itinerante.
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