LIMA: ADDIO SIGNOR X

Il rientro a Lima è sereno perché nel frattempo dall’Italia la nostra Elena, formidabile internet explorer,che con suo marito Gianni ci raggiungerà in Messico,ci ha trovato un buon albergo dove trasferirci.Ci lasciamo dunque tutto alle spalle: lo squallido hotel, il nervoso per le delusioni e le fregature,ma soprattutto ci “sganciamo” dal nostro accompagnatore. Purtroppo non potremo recuperare ciò che è andato perduto: tempo, denaro e soprattutto la fiducia nella persona alla quale ci eravamo riferiti per il nostro PROGETTO BIBLIOTECHE. Ma confidando come sempre nell’aiuto della Provvidenza e di Daniele,non perdiamo la speranza di lasciare anche in Perù un seme di bene e di solidarietà perché ne ha bisogno. Non è possibile che Daniele ci abbia portati fin qui per fare i turisti; non è mai successo…e non succederà!!!

5-6 Gennaio

Al rientro da una breve vacanza al mare, che sarebbe potuta essere perfetta se non fosse stato per il riacutizzarsi dei dolori di una vecchia ulcera gastrica, sicuramente dovuta a quanto in precedenza successo, la Senora Iolanda ci dice che durante la nostra assenza uno dei due ragazzi italiani che hanno occupato la nostra stanza ha lasciato, forse dimenticato, sul letto una striscia adesiva con il suo nome a caratteri cubitali: DANIELE. Eccolo! Il monello non perde occasione per farci sentire la sua presenza. Incoraggiata, incomincio a sperare che si verifichino le condizioni per fare qualcosa di buono pensando soprattutto ai bambini e alle donne. Gli ultimi giorni infatti… Ma andiamo con ordine. Chi viene in Perù per la prima volta mette in calendario la visita a Cuzco e al Machu Picchu ma difficilmente trascura l’escursione alle Isole Ballestas, le piccole Galapagos peruviane con i pinguini, i cormorani, i pellicani, i leoni marini… E noi non abbiamo fatto eccezione alla regola ma al nostro rientro…

6-9 Gennaio: ultimi giorni di permanenza nel paese degli Incas

Due toccanti incontri con la povertà e il degrado di Lima. Il primo avviene nella stazione di polizia della capitale dove ormai da anni, in una parte dell’edificio, i bambini di strada o sottratti a famiglie che non possono seguirli, vengono accolti come luogo di passaggio. In realtà alcuni di loro sono qui da quando erano bebè. Le poliziotte si alternano nel ruolo di baby sitter volontarie al di là delle ore di servizio facendosi carico anche delle spese vive del cibo poiché lo stato dà una cifra irrisoria e solo sotto le feste di Natale. Ma non si mangia solo a Natale! Tra le emergenze una lavatrice ad acqua ad uso industriale per sostituire quella vecchia ormai logora. Anche la cucina richiederebbe la sostituzione di coperchi e tegami per non parlare della stanza adibita a scuola dove un maestro deve bastare per tutti gli ospiti, una quarantina, di età diverse e tutti nello stesso angusto ambiente. Del resto è sempre meglio di niente non potendo essi frequentare regolarmente una scuola esterna. Le poliziotte sono quasi tutte mamme e le ore di servizio volontario che mettono a disposizione le sottraggono alle proprie famiglie. Raccontando questo al mio ritorno chissà che non si mobiliti qualche anima buona per l’acquisto di una lavatrice o addirittura non si pensi ad un gemellaggio solidale con un corpo di polizia italiano! Confido nella sensibilità delle donne e, nel caso specifico, di quelle in divisa.

Il barrio di S:Maria de Porres è uno dei più squallidi quartieri della periferia di Lima: non c’è elettricità, non c’è acqua potabile, solo sporcizia e degrado nonostante ultimamente si stia avvertendo la volontà di migliorare le condizioni di vita di questa povera gente. Le informazioni ci vengono date da una giovane dentista che fa parte di un gruppo di volontari cattolici attivi nel quartiere da alcuni anni nel settore della educazione di base e della salute. L’alcalde (sindaco) del quartiere ha promesso il suo appoggio ora che si sono costituiti formalmente in associazione. Auguriamo loro ogni bene per quello che hanno fatto e che continuano a fare.

10 Febbraio: SIAMO IN MESSICO

All’aeroporto di Tutzla Gutierrez ci aspetta la macchina che ci porterà dai nostri nuovi amici chiapateni a San Cristobal de las Casas l’antica capitale che tutti mi hanno decantato. Ma il primo impatto non è felice: fa freddo e gli alberghi non hanno riscaldamento però basteranno un paio di giorni e l’apparizione del sole per farmela giustamente apprezzare. San Cristobal è la base logistica per i nostri spostamenti. Il giorno 11 febbraio siamo attesi dalla comunità india di Laguna Verde per i festeggiamenti nella scuola materna da poco ultimata ma già funzionante benché ci sia una sola maestra al momento. I maestri mandati dal governo non sono motivati, sono spesso assenti e chiedono presto il trasferimento ma è comprensibile perché sono mal pagati ed il pullman che viene da San Cristobal (oltre tre ore di viaggio ogni giorno) non raggiunge la scuola; bisogna percorrere ancora un paio di Km a piedi e nella stagione delle piogge il sentiero è quasi impraticabile.

La maestrina che incontriamo è al suo primo incarico, volenterosa e contagiata dall’entusiasmo delle famiglie. Scopriamo con gioia che in questo remoto angolo di mondo si pensa ad un vero progetto didattico grazie alla presenza di Carolina, una maestra di San Cristobal che segue il metodo Montessori e come volontaria si fa promotrice di una formazione educativa di base ad altre donne, potenziali maestre per le comunità più lontane ed emarginate. I bambini di Laguna Verde non vedono altro che passaggi di camion che trasportano canna da zucchero ( quella dei cananeros è l’unica possibilità di lavoro faticoso, precario e mal pagato) ma qui nel gioioso Kinder che porta il nome e la presenza di Daniele si sta pensando alla grande: il programma didattico è bellissimo, parola di una ex insegnante; un giovane animatore, Miguel, volontario di San Cristobal, ci ha fatto assistere ad un esercizio di psicomotricità!!! Non ci aspettavamo nulla del genere, era nelle nostre intenzioni fornire una piccola struttura dignitosa, una formazione di base ed un pasto più idoneo di quello passato dal governo (una scatoletta di tonno per ogni bambino!).Ciò che abbiamo trovato invece ci suggerisce di ampliare il progetto e, perché no, di sognare una piccola scuola all’avanguardia in un comune povero del già povero Chiapas per i bambini indios, i più dimenticati.

Quanti ne abbiamo visti per le strade di San Cristobal a vendere oggetti che nessuno comprava. Non mi sarà facile dimenticare una bimbetta di circa 8 anni che in una sera fredda, con ciabattine infradito e uno scialletto, il braccio destro carico di cinture da vendere, portava il fratellino piccolissimo in un fagotto legato al collo. La povertà estrema degli indigeni del Chiapas non ti aggredisce come quella dell’India, più portata all’accattonaggio: sulla strada trovi donne che ti si fanno incontro ma senza invadenza per offrirti i loro manufatti, in prevalenza tessuti.

La città vive sul turismo, senza possibilità di crescita: l’indio della Selva Lacandona non possiede la terra, lavora quella degli altri, alle condizioni che gli altri decidono e quando gli altri decidono. Una condizione che si trascina da 500 anni e viene sopportata con dignità ma senza rassegnazione. Il Chiapas indigeno sta lottando per rivendicare i propri diritti; non è la guerriglia che trovi in altri paesi poveri del Sud America, è una lotta senza armi, una “guerra delle parole”come l’ha definita

il nostro autista, ma una guerra che si fa sentire…e rispettare. La lotta del Movimento Zapatista guidato dal subcomandante Marcos è un’esperienza molto particolare che ha commosso e continua a commuovere il mondo, quello sensibile, quello che crede nella fratellanza e nella dignità umana.

14 Febbraio : Visita al CARACOL di OVENTIC

Il caracol è una comunità zapatista, organizzata in modo autonomo rispetto al governo messicano.

L’uomo che incontriamo, dopo aver superato lo sbarramento del cancello di accesso rigorosamente custodito, porta come tutti il passamontagna nero che, più che nascondere il viso ( ormai la realtà zapatista è un dato di fatto accettato benché non gradito dal governo), è un simbolo di identità: quegli indigeni che per secoli invisibili, mascherandosi il volto sono diventati visibili e il mondo si è accorto di loro. L’uomo col passamontagna ci spiega cos’è il caracol, l’organizzazione e le finalità. Non chiedono soldi ma attenzione e solidarietà. Ci voleva proprio questo viaggio e questa conoscenza diretta per chiarirci le idee. Rientrando in patria cercheremo di chiarirle anche ad altri che, come noi prima, hanno le idee un po’ confuse su questi uomini mascherati. Prima di lasciare la comunità mi soffermo ad ammirare i coloratissimi murales dipinti sulle pareti delle baracche di legno. Una di queste porta una grande immagine della Madonna di Guadalupe, la venerata protettrice degli indios, anch’essa col viso rigorosamente coperto secondo l’uso delle donne zapatiste, con il fazzolettino che le nasconde dal naso in giù. Il messaggio che mi è parso di leggere dietro l’insolito dipinto mi ha commosso.

Fino al 20 febbraio restiamo in Chiapas dove incontriamo persone, verifichiamo situazioni di disagio ma sono tante e non abbiamo la forza economica per intervenire. Questi sono gli unici momenti in cui vorrei avere tanto, tantissimo denaro per sbloccare situazioni pesantissime.

Non mancano le escursioni culturali ai meravigliosi siti archeologici. Tremo al pensiero che possano passare tra la generale indifferenza gli scellerati progetti governativi in nome di un progresso che ancora una volta si risolverebbe in una beffa: costruire dighe e villaggi turistici o favorire altre piantagioni non lascerebbero spazio agli originari abitanti del luogo. Lo chiamano ipocritamente eco-archeosviluppo di un’area, la Selva Lacandona, tra le più belle del mondo. E qui gli indigeni sono una presenza ingombrante di cui liberarsi in un modo o nell’altro. Ecco allora le incursioni militari per intimorire le comunità, le pressioni, le minacce e gli “incidenti mortali”. E pensare che il presidente Calderon è anche il presidente di turno del Consiglio per i diritti umani dell’ONU!

A Tutzla Gutierrez restiamo pochi giorni, nessuna missione da compiere qui, poi a Città del Messico per il rientro in Italia. Il bilancio di questo lungo periodo trascorso tra Perù e Messico? Sicuramente tanta stanchezza ma, quel che più conta, due progetti realizzati e già qualche idea per l’anno in corso. Missione compiuta dunque e…alla prossima.

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